Incamiciatura in c.a. Cosa dicono in merito le NTC 2018?

L’ incamiciatura in c.a. può essere impiegata anche per il rinforzo delle fondazioni; in questo caso l’intervento risulta molto invasivo. Ecco i dettagli

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Tale tecnica, già largamente diffusa e richiamata dalle NTC 2018, interviene sulla geometria dell’elemento aumentando le dimensioni della sezione.

L’incamiciatura in c.a. è applicata tipicamente ai pilastri (Fig.1), anche se può essere utilizzata per travi e nodi; in quest’ultimo caso è meno frequente, poiché risulta di difficile realizzazione (si preferiscono tecniche alternative come l’incamiciatura in acciaio o la fasciatura con materiali compositi).

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Fig.1_Schematizzazione dell’incamiciatura in c.a. di un pilastro (figura adattata da materiale didattico dei prof. A. Masi e M. Vona)_©Valutazione sismica e tecniche di intervento per edifici esistenti in c.a.

L’incamiciatura in c.a. può essere sia totale (Fig.1) che parziale (Fig.2); chiaramente l’intervento parziale risulta meno efficace e si rende opportuno ricorrervi solo in casi di stretta necessità (es. edificio in adiacenza ad un altro fabbricato).

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Fig.2_Schematizzazione dell’incamiciatura parziale in c.a. di un pilastro_©Valutazione sismica e tecniche di intervento per edifici esistenti in c.a.

Incamiciatura in c.a. Quali obiettivi è possibile raggiungere?

In merito allo spessore della camicia, le NTC non forniscono dei valori precisi, ma prescrivono, al § C8.7.4.2.1 della circolare esplicativa, che “deve essere tale da consentire il posizionamento di armature longitudinali e trasver­sali e la realizzazione di uno spessore del copriferro adeguato”.

Mediante questo tipo di intervento, come anche specificato dalla circola­re, si possono conseguire i seguenti obiettivi:

  • aumento della capacità portante verticale;
  • aumento della rigidezza, dovuto all’incremento della sezione dell’elemen­to strutturale;
  • aumento della resistenza flessionale, grazie all’inserimento di un’appro­priata armatura longitudinale aggiuntiva che deve essere opportunamente resa solidale alle barre verticali esistenti;
  • aumento della resistenza a taglio, grazie all’aggiunta di armatura trasversale (i.e. staffe);
  • aumento della capacità deformativa (duttilità), dovuta al maggior confinamento della sezione;
  • miglioramento dell’efficienza delle giunzioni per sovrapposizione.

Affinché le barre longitudinali possano effettivamente contribuire all’incremento della capacità flessionale, deve essere assicurato l’ancorag­gio sia al piede che in testa dell’elemento. A tal fine devono essere prati­cate delle forature negli elementi strutturali adiacenti, per una profondità adeguata tale da sviluppare un’efficace tensione di aderenza, avendo cura che questi non vadano ad interferire con le barre d’armatura già presenti nell’elemento. L’ancoraggio della barra può essere garantito dall’iniezione di resina epossidica nella foratura (Fig 3-b).

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Fig.3_Esempi di (a) foratura per inserimento barre e (b) iniezione di resina epossidica per garantire l’ancoraggio (nota: l’intervento in questione non è d’incamiciatura)_©Valutazione sismica e tecniche di intervento per edifici esistenti in c.a.

Per assicurare il comportamento monolitico tra camicia e pilastro esi­stente si introducono dei ferri di collegamento (3-4 punti di giunzione per elemento), tra le barre longitudinali nuove ed esistenti collegate mediante saldatura (Fig.2). Si raccomanda di praticare la saldatura minima ne­cessaria in quanto l’acciaio d’armatura è particolarmente sensibile alle va­riazioni di temperatura.

Un altro aspetto di rilevante importanza riguarda la chiusura delle staffe; al fine di aumentare la duttilità, oltre che la resistenza a taglio della sezione, i ganci delle staffe devono essere chiusi a 135° gradi e devono avere una lun­ghezza di ancoraggio pari ad almeno 10 volte il diametro. Qualora la geome­tria non lo consentisse, la staffa potrebbe essere chiusa mediante saldatura.

Inoltre, bisogna sottolineare come sia molto importante l’operazione di scarico (decompressione) del pilastro, mediante il sollevamento del solaio grazie all’impiego, ad esempio, di martinetti idraulici. Tale operazione deve essere svolta con cautela, per non produrre danneggiamento quando l’elemento si trova ancora in campo elastico (ovviamente non bisogna superare la resistenza a trazione del calcestruzzo).

Nel caso, invece, in cui l’elemento non si trovi più in campo elastico, bisogna accettare una deformazione permanente. Si dovrà poi attendere la maturazione del calcestruzzo della camicia prima di ripartire il carico assiale sull’elemento.

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Come valutare la resistenza dell’elemento soggetto ad incamiciatura in c.a. ?

Per valutare la resistenza e la deformabilità dell’elemento soggetto ad incamiciatura in c.a. , nella circolare (al § C8.7.4.2.1) vengono elencate alcune ipotesi sem­plificative che possono essere assunte purché coerenti con la realizzazione dell’intervento, ossia:

  • comportamento solidale (senza spostamenti relativi) della camicia con la sezione dell’elemento esistente, garantita da una perfetta aderenza tra calcestruzzo vecchio e nuovo;
  • carico assiale da considerarsi distribuito sulla sola sezione preesistente per quanto riguarda i carichi permanenti, mentre distribuito sull’intera sezione incamiciata per quanto riguarda i carichi variabili e per le azioni sismiche (6);
  • proprietà meccaniche del calcestruzzo della camicia estese all’intera sezione, se non vi sono differenze eccessive (7).

Infine, per il calcolo della capacità degli elementi incamiciati la circolare riporta alcune espressioni a cui è possibile fare riferimento (eq. C8.7.4.1, C8.7.4.2, C8.7.4.3, C8.7.4.4). Inoltre, come per il caso della valutazione della sicurezza delle strutture esistenti, vengono indicati i valori delle resistenze dei materiali da impiegare nelle verifiche dell’edificio rinforzato.

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Fig.4_Esempio di incamiciatura in c.a. di fondazioni e pilastri_©Valutazione sismica e tecniche di intervento per edifici esistenti in c.a.

L’incamiciatura in c.a. può essere impiegata anche per il rinforzo delle fondazioni (Fig.4); in questo caso l’intervento risulta molto invasivo, in quanto si necessita uno sbancamento del terreno fino al piano di posa della fondazione e la conseguente rimozione totale o parziale del solaio contro-terra.

Tipicamente questo intervento riguarda edifici con fondazioni isolate (plinti) ed è sicuramente una buona occasione per realizzare anche delle travi di collegamento per irrigidire la fondazione ed evitare fenomeni di cedimenti differenziali. Bisogna considerare, però, alcuni aspetti derivanti dall’alterazione della geometria della fondazione:

  • l’aumento di sezione porta ad una riduzione della lunghezza di libera inflessione degli elementi strutturali in cemento armato;
  • la possibilità di eseguire le operazioni di scavo attorno all’edificio in esame, in modo da raggiungere il piano di posa della fondazione;
  • l’innalzamento della quota del solaio di base, con conseguente riduzione dell’altezza di interpiano.

Un rinforzo delle strutture fondazionali potrebbe essere valutato, per esempio, nel caso di strutture che nella loro vita hanno subito mutamenti di destinazione d’uso o che sono state sopraelevate, con significativo aumento dei carichi tramessi in fondazione.

Il testo è tratto dal volume di Rui Pinho – Federica Bianchi – Roberto Nascimbene Valutazione sismica e tecniche di intervento per edifici esistenti in c.a.

Articolo originariamente pubblicato su Ingegneri.cc.

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Nell’immagine di copertina alcuni esempi di interventi su pilastri esistenti effettuati mediante incamiciatura totale in c.a. ©Valutazione sismica e tecniche di intervento per edifici esistenti in c.a.

Redazione Tecnica

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