Sicurezza infrastrutturale. Per il futuro occorre riprogettare vita nominale dell’esistente

Assicurare la sicurezza infrastrutturale è necessario per garantire un futuro delle opere esistenti. Agire sulle stesse programmando interventi. Ecco i dettagli

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Investire sulla sicurezza infrastrutturale per dare un futuro alla nostra rete infrastrutturale (…e non solo).

Il crollo del ponte Morandi ha drammaticamente evidenziato la reale situazione della sicurezza del patrimonio infrastrutturale italiano. Come ogni tragedia, ha messo in luce le vulnerabilità delle opere che avrebbero dovuto essere preservate nel tempo.

Succede (sistematicamente) quando avviene un terremoto, i cui danni sono a volte il frutto di errate prassi costruttive del passato e di una mancanza di percezione del rischio sismico, valutato erroneamente come un evento eccezionale.

Ma nel caso dei recenti crolli di alcuni viadotti e ponti, nulla vi è stato di eccezionale, se non la drammatica mancanza di una pianificazione della manutenzione e adeguamento strutturale ai nuovi requisiti di sicurezza, richiesti dalle attuali norme tecniche per strutture datate nel tempo. Il ritratto di un Paese che non ha saputo preservare il suo patrimonio, ne adeguarlo per poterne usufruire nel futuro in piena sicurezza.

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Sicurezza infrastrutturale. I paradossi italiani

“Ci sono tecnologie oggi che consentono di poter rifare i copri ferro con una protezione catodica delle armature con interventi molto semplici. La tecnologia di intervento per contrastare il degrado e fare manutenzione è assolutamente disponibile, ma nessuno la impiega in modo sistematico” (Ing. G. Camomilla).

La stessa considerazione vale per l’utilizzo della moderna diagnostica per il monitoraggio strutturale in modalità continua e in remoto. Se utilizzata sul ponte Morandi, così come in altre strutture crollate, avrebbe sicuramente dato preallarmi più evidenti ed oggettivi.

Il paradosso non riguarda lo stato di degrado, fisiologico per strutture in cemento armato risalenti a più di 50 anni fa. E neppure la robustezza di alcuni schemi statici, perché concepiti con normative e prassi progettuali oramai passate. Tutto fisiologicamente normale, perché ogni materiale è soggetto a degrado nel tempo e i concetti progettuali evolvono. Accade per le automobili, la cui progettazione attuale le rende molto più sicure di quelle costruite 50 anni fa, come per qualsiasi altro prodotto industriale, che migliora col progredire della tecnica.

Nessuno si sognerebbe di polemizzare con gli ingegneri meccanici di 50 anni fa per la poca sicurezza che avevano le automobili, rispetto a quelle attuali evidenziate dai moderni crash test. Sono evolute le tecnologie e la sensibilità riguardo la cultura della sicurezza stradale. La stessa cosa accade nel mondo delle costruzioni e delle infrastrutture. Tuttavia l’automobile ha una vita di esercizio più breve al cui compimento consegue una normale sostituzione (con una vettura più evoluta e sicura), economicamente sostenibile.

Di diverso valore dovrebbe essere la vita di esercizio di un’opera infrastrutturale o di un edificio, di cui si auspica una durata di molti decenni poiché l’impatto economico della sua sostituzione sarebbe molto gravoso e spesso non sostenibile. Di qui la necessità di adeguare le vecchie strutture ai nuovi parametri di sicurezza. Il concetto di vita nominale introdotto dalle attuali norme tecniche rafforza l’esigenza di pianificare le tempistiche di manutenzione straordinaria già in fase progettuale.

Se le strutture del passato non sono state progettate in funzione della vita nominale (perché a quel tempo non esisteva né il concetto né tanto meno l’obbligo), spetta all’attuale generazione adeguarle. È inutile fermarsi alla sterile polemica sul ponte Morandi che non era stato progettato negli anni ’60 (!!) per una vita nominale di 100 anni, come richiesto dalle attuali norme tecniche. È impensabile pretendere allo schema strutturale originario di una struttura datata i medesimi requisiti di sicurezza di una di nuova progettazione. Ma esistono tutti gli strumenti progettuali ed ingegneristici per adeguarla, per risanarla dal degrado e migliorare il suo schema strutturale laddove serva, prolungandone la vita di servizio. Questo rappresenta un dovere attuale.

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Fig.1_Crollo del ponte Morandi (via web)

L’entità degli anni della vita nominale potrà essere riazzerata ad ogni intervento di manutenzione straordinaria che preveda la verifica globale della struttura dal punto di vista statico e sismico. Una sorta di revisione che permetta alla struttura di essere aggiornata ed adeguata ai nuovi standard di sicurezza infrastrutturale, garantendone l’utilizzo nel tempo.

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Ecco, in sintesi è questa la sfida che attende l’Italia: riprogettare la vita nominale delle strutture esistenti, poiché in tal senso si avrà coscienza del reale degrado e degli interventi da intraprendere.

Attualmente il paradosso risiede invece in una carenza di analisi delle vulnerabilità dello stato di fatto, sia statiche che sismiche. Per fare un esempio, malgrado l’entrata in vigore dell’O.P.C.M. 3274 del 20/03/2003 che imponeva l’obbligo della valutazione della vulnerabilità sismica di scuole, ospedali, infrastrutture e altri edifici pubblici strategici, ad oggi non tutto questo patrimonio edilizio ed infrastrutturale è stato valutato.

Neppure si conoscono le percentuali di quanto fatto. In alcuni casi si è andati oltre provvedendo anche ad eseguire lavori di adeguamento. Sono molti i Comuni che stanno predisponendo la verifica sismica delle scuole. Ma molto rimane ancora da analizzare e fare, come appare drammaticamente ad ogni nuovo terremoto che mette in evidenza strutture ospedaliere, scuole o municipi inagibili già da subito durante l’emergenza sismica. La scadenza entro la quale eseguire tali verifiche, inizialmente entro 5 anni dall’entrata in vigore dell’O.P.C.M. 3274, è ogni anno rinviata col decreto milleproroghe.

Tuttavia, a forza di prorogare, prima o poi si arriverà al raggiungimento dello stato limite di altre strutture oramai datate e compromesse dal degrado….Allora stupisce come mai un’opera infrastrutturale così complessa e strategica come il ponte Morandi non avesse ancora ricevuto alcuna valutazione delle proprie vulnerabilità sismiche, a cui sono collegate anche quelle del degrado materico e della resistenza statica? Il ponte non è crollato per un terremoto, ma queste analisi avrebbero certificato il suo reale stato di degrado strutturale e la conseguente pericolosità.

Tuttavia non è stata l’unica grande opera infrastrutturale a non aver ancora ricevuto tale valutazione, obbligatoria per legge ma i cui termini di consegna vengono continuamente prorogati. Piuttosto che puntare il dito su come l’Ing. Morandi avesse concepito una struttura poco robusta nello schema statico, tale da crollare all’insorgere della prima grossa criticità di un suo elemento (peraltro abbondantemente sovradimensionato), perché non fermarsi a riflettere cosa è stato fatto in questi anni per indagare le criticità e migliorare la robustezza di questa e di tante altre infrastrutture progettate decenni fa?

A proposito di sicurezza infrastrutturale e ponte Morandi, esiste un altro paradosso: il lavoro di adeguamento strutturale era già iniziato negli anni ‘90 sugli stralli della pila 11, con l’integrazione di ben 48 nuovi cavi a supporto dei due originari in calcestruzzo. La cosa giusta da fare, per migliorare la robustezza dello schema strutturale. Peccato che poi il lavoro non sia proseguito sulle altre pile. Altrimenti oggi parleremo di una storia diversa…Di come avremmo prorogato la vita utile di una grande opera di ingegneria del passato («uno dei primi progetti di ponti strallati al mondo che ha dato poi le basi per uno sviluppo tecnologico sui ponti strallati a livello internazionale» – Ing. G. Camomilla), anziché arrivare a demolirla. Se la missione era preservare, per di più un’opera di ingegneria pioneristica, si può affermare che il Paese abbia fallito.

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Sicurezza infrastrutturale: qual è la sfida che ci attende?

La vera sfida che attende il nostro Paese: saper certificare e prolungare la vita nominale delle strutture esistenti, senza per forza doverle sostituire tutte. Magari non tutte le infrastrutture analizzate andranno conservate, e in alcuni casi la sostituzione sarà la soluzione migliore. Ma l’attività prevalente da svolgere nei prossimi anni dovrà essere soprattutto di monitoraggio, manutenzione e messa in sicurezza delle infrastrutture esistenti. La sicurezza strutturale non paga in termini di risparmio economico immediato sui costi di gestione del patrimonio edilizio.

Non dà l’immediata visibilità di una miglioria estetica o funzionale, anche se protegge i cittadini e non permette il verificarsi di eventi pericolosi per la loro incolumità. E non è poco. Il ritorno economico consisterà nel risparmio in termini di ricostruzione che sarà evitata, poichè la struttura risulterà (finalmente) più resiliente. Oltre al fatto che salverà vite umane da altre tragedie.

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Fig.2_Crollo del viadotto di Annone Brianza (via web)

Per compiere questa immensa azione di messa in sicurezza occorrono nuovi ingegneri. Tuttavia viviamo un ulteriore paradosso. Anche a causa della crisi economica che da anni sta investendo l’edilizia, oggi in Italia i corsi di ingegneria edile e civile sono ai minimi storici di iscrizioni, con numeri davvero esigui e del tutto insufficienti a supportare nel futuro questa grande sfida. La maggior parte degli iscritti è riversata su altri corsi di ingegneria, più spendibili sull’attuale mercato del lavoro (telecomunicazioni, elettrico, aereospaziale, per fare alcuni esempi).

Inoltre, la sicurezza non deve rimanere solo una questione demandata alla classe dirigente. L’opinione pubblica, che in questi mesi si è indignata di fronte alle tragedie dei crolli di ponti e viadotti, e che giustamente richiede maggiore sicurezza nelle opere pubbliche da essa utilizzate, deve tuttavia anch’essa riflettere sul grande livello di vulnerabilità che contraddistingue il patrimonio edilizio privato, la cui manutenzione è spesso stata trascurata e delle conseguenze che ciò comporta, in termini di sicurezza statica, sismica e costo di ricostruzione.

Non solo le infrastrutture, ma tutte le strutture edilizie, dalle abitazioni private agli edifici monumentali, necessitano ora più che mai di un piano straordinario di messa in sicurezza. Non più rinviabile. Non è pensabile che lo Stato possa sostenere con cadenze frequenti ingenti spese di ricostruzione in corrispondenza di ogni grande scossa di terremoto o di crolli statici, quando questi colpiscono edifici vulnerabili per evidente stato di degrado conseguente alla mancata manutenzione. La stessa che viene criticata ai diversi Enti e Ministeri che gestiscono la rete infrastrutturale italiana.

Tutti devono diventare sensibili al tema della sicurezza strutturale, che sia la propria abitazione o il ponte su cui si passa quotidianamente per andare al lavoro. Tutti dovranno contribuire nel rispetto delle competenze di ognuno, dalla piccola abitazione privata, che potrà avvalersi degli incentivi fiscali di diverso tipo per eseguire valutazioni e lavori di messa in sicurezza, fino all’infrastruttura gestita dall’Ente Pubblico che dovrà garantire la fruizione ai cittadini in piena sicurezza.

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Articolo originariamente pubblicato su Ingegneri.cc

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